IL MIO NOME È BALBIR
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Almeno sedici ore al giorno, sette giorni alla settimana, 365 giorni all'anno, il tutto moltiplicato per sei anni. A soli ottanta chilometri da Roma, nell'Agro Pontino, Balbir ha lavorato in condizioni di schiavitù per una retribuzione che variava tra i 50 e 150 euro al mese. Per mangiare, rubava il cibo che il padrone italiano gettava alle galline e ai maiali. Un inferno vissuto in un Paese democratico che afferma di essere fondato sul lavoro. Balbir ha però deciso di non rassegnarsi e di ribellarsi, di combattere per la sua e la nostra libertà e dignità, rischiando la vita più volte. Un uomo in rivolta, come direbbe Camus, la cui lotta ed esempio sono il più grande antidoto contro ogni forma di razzismo, fascismo, violenza, sfruttamento e schiavismo. Lui è Balbir Singh, un bracciante indiano, e questa è la sua storia.
«Anche se devi lottare contro tutti e forse anche contro te stesso, tu lotta. Se è per la tua libertà, tu lotta. Se è per il tuo diritto a esistere, tu resisti e lotta. Non pensare di essere morto. Io ho capito che un uomo, quando ha una ragione per lottare, ha una ragione per vivere. Se lotti davvero, non muori mai. Resistere è, secondo me, la risposta giusta, e la rivolta è la strada da percorrere insieme.»
Marco Omizzolo – Sociologo Eurispes, presidente di Tempi Moderni, docente a contratto di Sociopolitologia delle migrazioni alla Sapienza, dipartimento di Scienze Politiche, lavora su mafie, sfruttamento, tratta internazionale, caporalato e schiavitù contemporanee. Nel 2019 è stato nominato, dal Presidente Mattarella, cavaliere della Repubblica per meriti di ricerca e impegno contro lo sfruttamento lavorativo. Ha pubblicato Sotto padrone (Fondazione Feltrinelli 2019), La quinta mafia (RadiciFuture 2021), Per motivi di giustizia (People 2022), Laboratorio criminale (People 2023) e numerosi altri libri. Da anni vive sotto tutela delle forze dell'ordine per le numerose minacce di morte subite.